Spettacolo!! Condizioni meteo perfette.
Cammina cammina si arriva in quota e poi alta quota. Mi sento la testa come se fosse un palloncino… vuota e galleggiante. Il cuore batte strano: insomma: sto procedendo più piano del solito, mi doso, ma non ci siamo e da qui il rifugio ancora nemmeno si vede e poi io non sto male. Però nemmeno posso dire di star bene!! Procedo. Chiudo la fila. Scatto foto come sempre e intanto prendo fiato che oggi proprio non giro. Ecco: la ferrata e le catene! Ora si sale per davvero. Qui ci si deve concentrare bene su ciò che si fa poiché ogni movimento ha la sua importanza. Ci si arrampica su costoni di ghiaccio misto neve con ausilio di corde e catene. Meglio, molto meglio non scivolare.
Bello. Emozionante. Salgo. Tutto ok! I panorami non si possono facilmente descrivere… c’è solo più maestoso ed aguzzo granito, ghiaccio, neve, torrenti e lassù nevai. Cielo blu. Poi si scollina un poco e si arriva in una pietraia sterminata, un incrocio tra paesaggio lunare e marziano e si vede anche la base spaziale ovvero il rifugio Nacamuli.
Vederlo però non vuol dire esserci arrivati, specie quando non si è in condizioni ottimali. Prendo fiato per far rallentare il rombo della pressione sanguigna dentro alle orecchie, bevo un po’ d’acqua per provare a spegnere l’incendio che divampa nella mia gola e poi ricomincio a camminare come insegnano le guide alpine: passi brevi e costanti. E così arrivo a destinazione. Bene. Proprio nel giungere un po’ stravolto al rifugio mi viene in mente, tanto per essere ottimista, un dato statistico degli incidenti in montagna. Pare che ben oltre la metà degli incidenti che avvengono in montagna in un anno, non succedano all’andata ma sulla via del ritorno. Perché? Perché troppi inesperti danno il 100% delle energie pur di arrivare alla meta senza considerare che quello non è che il 50% del giro e delle energie necessarie. Infatti non si prende la residenza al rifugio o bivacco di turno: dopo essersi rifocillati alla meta, si torna a casa. Ed è proprio perché ho fatto la ca**ata di spingermi fin qui non stando bene che mi sorge spontanea una domanda: “e adesso come ca**o scendo da qui”? Energie ne ho bruciateparecchie e mi sento atanco, affaticato. Si ripresentano a sorpresa Saggezza ed Esperienza e ci sono anche Speranza e Fiducia. Nessuno si azzarda a pronunciare un ‘te l’avevo detto’… piuttosto mi guardano con un misto di comprensione, compassione e ottimismo: il succo del loro breve intervento è: “non porti troppe domande ora: sei alla meta. Mangia il tuo pasto, bevi qualcosa di bollente, riposa un’oretta e vedrai che scendere non sarà dura come credi. Sarà il consueto piacere di un giro ben riuscito”.
questo è il vecchio Rifugio Collon che ora funge da "invernale" |
Mi riprendo un po’ bevendo il mio te e stando appiccicato alla stufa! Scatto foto. Arriva un coppia: simpatici. Raccontano del loro viaggio in Nepal… mi vien voglia di partire subito e ciao ciao Saggezza, Pazienza, Speranza e tutte le virtù di questo mondo. Tocca restare… Prendo anche un caffè!
Ok: ora di scendere: saluti a tutti ed esco. È grigio e freso: mi ricambio: la roba sudata è ormai asciutta, mi copro bene, mi sigillo la gola e mi sento un Dio. Un semi-Dio. Affrancato e soddisfatto mi dico che è valsa la pena fare questa gita: mi guardo e riguardo il panorama ed è inutile prodigarsi in tentativi descrittivi: devi vederlo quel panorama per trarne piacere. Si parte.
Il cane è gasatissimo come al solito e il resto della ciurma anche, me compreso. Riesco anche a pronunciare qualche parola. Arriviamo alla ferrata: concentrazione…
C'è chi può fare a meno della corda |
Ecco cosa resta di chi non ha fatto attenzione a come si scende: era un camoscio! |
un branco di camosci mi passano sotto al naso. Uno mi guarda con un certo stupore. Vorrei chiedergli un benagol visto che me li sono ciucciati tutti ma non riesco a parlare. Se ne va.
Infilo l’antipioggia / antivento. Aperta parentesi: senza andare a cercare guai ad ogni costo, le condizioni meteo imperfette, in natura, sono le mie predilette. Ok: bella la giornata col prato verde, i fiori gialli e il cielo blu… du pa**e però! Quando il tempo è imperfetto mi pare di vivere la natura in modo più intimo, selvaggio e reale. La roccia bagnata offre colori e tonalità che non vedresti mai nella giornata perfetta. I movimenti delle nuvole che salgono veloci da valle, incredibili giochi di chiaro / scuro, incontri con animali che a causa del suono della pioggia non ti sentono… be: tutto questo per me si chiama valore aggiunto ed è quanto di più mi esalti. Tranne quando sto male! Chiusa parentesi. Da qui in avanti è stata una tortura. Credo sia partita la febbre in questo esatto momento: male logorante alle articolazioni, ai muscoli, alle orecchie, agli occhi…. Non mi son mai sentito tanto catorcio. Passi corti. Cuore che picchia duro. Fame? Zuccheri? Non so. La gola arde come la brace. Mi vien freddo. Io non ho mai freddo! Piove. Sono attrezzato e perciò all’asciutto. Ma qui si mette male comunque… Stringo i denti: Esperienza non c’è, Saggezza assente, Ottimismo non pervenuto, Pazienza poca, Determinazione vacillante…. Mi ha mollato anche il cane che sta qualche metro più avanti col resto del gruppo. Solo mi volteggiano attorno a debita distanza, tipo avvoltoi che si fingono indifferenti, Pessimismo e Rassegnazione ma siccome dal dolore alla gola non riseco a deglutire, quando si avvicinano troppo, gli sputo e tiro avanti. Si esce dal bosco e finalmente siamo sulla via maestra. Un’interpoderale pianeggiante che costeggia il bacino idrogeologico artificiale che termina con la maestosa diga di Place Moulin (la foto che la ritrae l'ho scattata circa un mese e mezzo prima di questo giro).
Qui si tende a commettere un errorino: quello di pensare “è fatta. È finita”. No. Qualche chilometrino ancora. A questo punto, al corredo di dolori vari subentra anche quello alle anche: interessante! Non lo avevo mai avuto prima. Mi sono venuti in mente tanti film o anche quelle belle frasi dei libri tipo “ogni passo era una tortura”. Diciamo che forse quella è stata la frase che ha caratterizzato ogni momento del tratto finale della gita. Alla fine si arriva al parcheggio. La macchina. Togliere gli scarponi, sedersi. Lo so che detta così è sembrata la cronaca di un supplizio e che uno può anche chiedersi “ma chi te lo ha fatto fare?” ma alla fine – tolto il mio malanno – è stato bellissimo! Ma ho sbagliato. È stato tutto sbagliato dal momento in cui non ho fatto l’unica cosa giusta che andava fatta e cioè ascoltare Esperienza e Saggezza. È un errore grave affrontare attività impegnative quando non si è in condizione. La montagna, specie quella alta, è un ambiente che non ammette errori e non ha pietà. Tutta la natura non ha pietà e la sfiga, come del resto la fortuna, non sono 2 elementi su cui si può far più di tanto affidamento. Avrei dovuto stare a casa. Ci vuole un nulla per trasformare uno stato di cose da precario a grave e non avrei dovuto forzare una situazione chiara fin dall’una e 32 del mattino. Non c’è ragione per rischiare inutilmente.
Questo non è un consiglio non richiesto dato da chi non è stato in grado di ascoltarlo perciò fatene l’uso che riterrete più opportuno. È più che altro un episodio che condivido per il piacere di farlo e per ricordare a me che… che le parti che compongono il nostro io sono molteplici e non è sempre facile ascoltare la ragione. E quando non lo si fa, c’è sempre un prezzo da pagare. Nessun problema se si ha la moneta in tasca. Se. Vi scrivo ciò ora che è scesa la febbre (che era ovviamente alta!), dopo un certo numero di Benagol e tachipirine. Ora che ancora ho mal di gola anche se molto meno… E vi saluto con un videoriassunto di un giro bellissimo che è valso la pena di fare: Rifugio Nacamuli: 2.818 partendo da quota 1.891 per 27 chilometri di distanza lineare.
gita meravigliosa!!!!!
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